La mia prima granfondo è ufficialmente fissata per domenica 2 aprile, ma in realtà inizia qualche giorno prima, col montare di un certo nervosismo diffuso, di un’instabilità emotiva mista a momenti di mutismo improvviso, con la faccia sorpresa di mia moglie che dice: “Ah! Quindi stai via due giorni?” Ed io che mi sento risponderle: “Sì, perché? Non te l’avevo detto?”. No, evidentemente non le avevo ancora detto niente, eravamo già a venerdì.
Comunque bando alle ciance, in questo caso voglio fare subito i nomi dei mandanti: Davide e Matteo, che come sirene ammaliatrici ti sussurrano già due/tre mesi prima: “Vieni a Cervia, vieni, c’è la granfondo, vieni, non è difficile, anche tu puoi farcela…” Ma alla fine non si può dare la colpa alle sirene ammaliatrici, meglio note come il Gatto e la Volpe, perché io, a differenza di Ulisse, i tappi di cera nelle orecchie non me li sono messi e neanche mi sono fatto legare all’albero della nave. Senza comunicarlo ai congiunti - ma l’ho già detto - ho risposto alla chiamata dei nostri.
Pronti via, si parte! Ma quasi subito ci si ferma ai bordi della Via Emilia, davanti all’Antica Trattoria da Beppe, per un pranzo veloce, da atleti, per carità: tris di primi, tigelle e gnocco fritto con salumi e formaggi, lardo pesto, succo d’uva bianco e rosso, caffè, dolce e nocino. Per fortuna guida il Prof. perché il post-prandiale è impegnativo e mi dico: “Non pensare alla granfondo, pensa alla digestione, puoi farcela!”
In un baleno siamo a destinazione all’Hotel Universal di Cervia, dove ci uniamo a Luis e Lorenzo&family. Il proposito dei più ardimentosi tra noi è quello di impegnarci moderatamente in una pedalatina per non lasciare la gamba in disparte, “ma l’entusiasmo poi se ne va” (per dirla con Colapesce e Dimartino) e optiamo per un giretto tra le bancarelle a tema ciclistico sul lungomare, che fruttano agli avventori ben due caschi e sei paia di calzini. Pare che l’indomani i caschi abbiano effettivamente avuto effetti propulsivi sugli acquirenti, mentre i calzini – lo dico per esperienza diretta e non per sentito dire – non hanno fatto la differenza in gara, anche se la speranza un po’ c’era.
Per intercessione di Tonino e consorte, arriva il tanto atteso momento della cena che, salvo rarissime e deprecabili eccezioni, si svolge nel più assoluto silenzio e sotto la rigida osservanza dei dettami del Pres, ovvero “riso in bianco e qualche fettina di bresaola, massimo alle 10 in camera a dormire”. Tuttavia, malgrado il ferreo rispetto delle consegne presidenziali la notte è agitata, i risvegli si susseguono incessanti e il suono della sveglia è una liberazione.
Dalle facce contrite che trovo a colazione capisco che oggi non si scherza e cerco di adeguarmi immediatamente alle circostanze: proverò a non sfigurare almeno nella fase di riscaldamento, per il dopo si vedrà. Tosto ci distribuiamo nelle rispettive griglie di partenza: davanti i veterani che hanno già gareggiato l’anno passato; dietro, tra gli altri, i novellini come me e Francesco. Mi consola il fatto che alla nostre terga ci sia solo la sezione degli ultracentenari, così almeno non avrò il pensiero dei fastidiosi sorpassi a bomba da dietro, che hanno sempre un effetto destabilizzante sulla mia guida del mezzo meccanico.
Ecco, finalmente si parte! Ma un piede è ancora a terra, c’è più traffico che in corso Buenos Aires il sabato pomeriggio! Dopo la prima curva a destra finalmente siamo liberi, iniziamo a pedalare e le parole si diradano nella mia testa e nella mia penna. Sono venuto per odorare il vento di Romagna, per scongiurare il pericolo di pioggia sbuffando forte al cielo, per stare sempre alla ruota di chi trovo per la via, per fermarmi ai punti di ristoro perché ormai mi sono abituato alle prelibatezze del luogo, per ascoltare le chiacchiere di due anziani ciclisti che parlottano tra loro in salita sverniciandomi, per vedere all’ultimo momento una curva a gomito e inchiodare prima del pratone, per farmi portare negli ultimi chilometri da un tizio che all’improvviso si rialza e mi molla da solo senza neanche chiedere il cambio, per fare una volata sul lungomare di Cervia malgrado la classifica inclemente. E poi sono venuto per ritrovare i miei compagni alla fine della gara ed essere insieme a loro “tutti primi al traguardo del mio cuore” (questa volta le parole sono del poeta Alfonso Gatto).
A cura di DIEGO A.
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