“E’ il più sontuoso dei passi italiani. La leggenda per antonomasia.”
Così è presentato il passo dello Stelvio in un libriccino che fa la carta d’identità alle salite della provincia di Sondrio.
La Gran Fondo Stelvio Santini propone nel percorso la salita al passo come il piatto forte. L’arrivo per bici da strada più alto che si possa trovare in Italia, il più maestoso e il più leggendario.
Partiamo sabato mattina, Lorenzo ed io. Prima di arrivare al cospetto di Sua maestà, Lorenzo, con la sua meticolosità nel preparare le gare, vuole fare una ricognizione del percorso. Ci tocca quindi salire a Teglio e seguendo le indicazioni già posizionate dall’organizzazione ricostruiamo il percorso che porterà i ciclisti del medio e del lungo ai quasi 900 metri del paese che si fregia del titolo di “Patria del Pizzocchero”.
Scopriamo che è un vitale paese in posizione panoramica che sorveglia dall’alto quella parte della Valtellina dove i pendii terrazzati coltivati a vigna lasciano spazio ai boschi di castagno, la strada del passo dell’Aprica sul versante orobico, e verso est la valle che si stringe e sale sempre di più verso le montagne.
La mia meticolosità nel preparare il weekend di gara mi ha invece consigliato di prenotare a pranzo, proprio a Teglio: quindi sciatt, bresaola e pizzoccheri prima di ripartire.
A Bormio il villaggio è allestito presso il Palazzo Pentagono: non c’è folla ma un brulicare animato di addetti ai lavori e partecipanti che ritirano il pacco gara e vestono il braccialetto che per due giorni sarà il GF Pass, valido per accedere al pasta party di domenica; prima si firma il tabellone, che impreziosisco col mio autografo alla casella 2106. Lorenzo è il 709, firma e foto di rito, poi possiamo raggiungere il nostro alloggio. Una stanza onesta in posizione centralissima.
Tanto centrale che le griglie per la gara domattina si allineeranno proprio nelle vie intorno.
La signora dell’affittacamere promuove il punto di forza della sua struttura commentando: “Domattina potete svegliarvi anche un minuto prima della partenza, scendete in strada e siete in griglia” e accompagna con una risata compiaciuta.
In effetti l’indomani me la prendo comoda. Scendo a fare colazione meno di un’ora prima della partenza. Mentre aspetto che si sbollenti il thé penso che Lorenzo sta partendo per la sua gara proprio in quel momento, alla difficoltà di approcciarsi ad un percorso comunque piuttosto impegnativo che porta in cima allo Stelvio dopo 137 km e più di 3000 mt di dislivello, alla giornata che si preannuncia ideale. Io farò il Corto, ho ancora quaranta minuti alla partenza. Poi esco e mi mescolo tra i colleghi col pettorale verde, che condivideranno con me una fatica di soli 63 km.
Dopo il solito final countdown a tempo di musica si parte! Il primo segmento del percorso è molto veloce, 20 km in discesa; fa’ poi sudare il rientro a Bormio a partire da un muro che incattivisce progressivamente le pendenze proprio nel centro di Sondalo. Fortunatamente è breve, si scollina, c’è ancora discesa, poi la salita diventa più dolce e gradevole.
Dopo il ristoro si riparte tra le case di Bormio, un tratto in pavé, poi si inizia a salire.
Basta poco per lasciarsi le case alle spalle e immergersi nell’ascesa allo Stelvio. L’inizio è agevole, si riesce a spingere abbastanza bene sino ai Bagni vecchi, poi la pendenza aumenta nel tratto caratteristico che sale a tornanti sul pendio coperto di pini mughi per addolcirsi di nuovo sino alle gallerie.
I ciclisti sono sparpagliati per la salita, distanziamento sociale garantito, e inizio a godermi la salita in solitaria nella tranquillità di una strada che per oggi è off limits per tutti i mezzi a motore. Ogni tanto supero qualcuno, mi accosto, magari si scambia una battuta e poi di nuovo per i fatti propri a interiorizzare le sensazioni che trasmette la strada, la bici, il corpo, l’ambiente circostante. Al tratto duro che precede la sequenza dei tornanti che supera il salto di quota prima della bocchetta del Braulio adeguo il rapporto e salgo ancora più tranquillo. Senza troppi affanni sono fuori dalla bocchetta. Ora c’è un bel sole, e questo tratto di strada mi sorprende ancora una volta per la severità e allo stesso tempo l’accoglienza dell’ambiente di alta montagna in cui ormai sono immerso. Mi si accosta un toscanaccio neanche in gara che attacca bottone, facciamo un paio di km insieme ma ha un passo decisamente diverso, prende spazio e se ne va. Non mi dispiace tornare a pedalare in silenzio negli ultimi km - ovvia. Le case su al passo ormai si vedono, ma gli ultimi 3 km sono esattamente come me li ricordavo dall’ultima volta. Arcigni, costantemente difficili e sembrano non finire mai, con l’aggravante di avere sotto gli occhi la meta che continua a cambiare prospettiva ma rimane sempre lì, a distanza di rispetto da te.
Poi il traguardo, un selfie col cappellino di finisher, tempo di ripigliarsi e vestirsi e si può scendere.
Ora penso che da qualche parte sulla salita c’è un beduino che sta faticando. Scendo piano, pianissimo, per vedere se riesco a vedere Lorenzo. Così faccio attenzione ai ciclisti che incrocio: a volte mi imbatto in facce straniate dalla fatica, chi si appende al manubrio e da di spalle e di braccia per aiutarsi a salire, chi è serafico e sale a passo d’uomo, chi sale proprio a piedi. Più fugaci i fotogrammi di chi sale forte. Qualcuno si nota per lo stile composto e perché fa’ visibilmente velocità. Vedo due che viaggiano insieme, salgono davvero forte, penso che potrebbero essere tra i primi del percorso medio. Passando in rassegna velocemente il campionario dei partecipanti mi affaccio di nuovo sulla sequenza di tornanti sotto alla bocchetta. Lo spettacolo della strada dove i ciclisti sgranati consumano la loro fatica mi colpisce. Di fianco la cascata del Braulio, sotto la perfezione di un’opera di ingegneria geniale nella sua capacità di integrarsi nell’ambiente che attraversa dandogli la misura della tecnica e la dimensione della visione umana.
Faccio qualche foto e penso che non ha importanza se si ha fatto una fatica da beduino per arrivare in cima, se si è saliti a passo tranquillo per cercare di godere ogni istante o se la si è fatta a tutta sentendosi dei pro perché si è staccato un crono di poco meno di 1 ora e 10 minuti. Non importa, questa salita è comunque capace di regalare grandi emozioni e sensazioni viscerali. Anche per questo è leggendaria.
Io, oggi, me la sono proprio goduta.